VISIONI ITALIANE 2016: UNA RIBALTA PER I REGISTI DEL FUTURO

Presso la Cineteca di Bologna, dal 24 al 28 febbraio le “visioni italiane” di giovani registi emergenti con cortometraggi, documentari, film sperimentali e opere d’esordio in cerca di una distribuzione.

È il ventiduesimo anno che alla Cineteca di Bologna approda Visioni Italiane, concorso nazionale per corto e mediometraggi che si è svolto nella settimana da mercoledì 24 febbraio a domenica 28 marzo. Il proposito di questa conquista, maturata negli anni, è quello di dare spazio ai giovani autori e ai loro lavori. Si viene a creare una trama di incontro e confronto, di riflessione e dibattito tra autori e pubblico per evitare che queste opere, le idee e gli sforzi alla base, rimangano invisibili.

24-02-2016

Il primo appuntamento del festival, composto nella maggior parte da cortometraggi, è stato inaugurato con la presentazione del volume Il cinema breve – Dizionario del cortometraggio 1928-2015, una voluminosa opera di 500 pagine consigliata agli amanti del cinema – in particolare ai giovani autori – che vogliono scoprire dei piccoli capolavori realizzati durate la storia del cinema.

1Il volume è nato pensando ad Alain Resnais e passa attraverso vari generi come quello dell’animazione, del cinema sperimentale ed anche erotico, riecheggiando dei capolavori di grandi registi – conosciuti e non – che vanno da Truffaut a Warhol, da Antonioni a Park Chan-wook, da D.A. Pennebaker a Bjòrk, da Shirley Clarke a Dino Risi, da Bunuel a Tex Avery, da Pasolini a Justin Lin, da Mishima a Scorsese, da Beckett a Monicelli, da Lynch a Miyazaki. L’incontro si è svolto con il critico Goffredo Fofi e l’autore del volume Sergio Ariecco che ha voluto raccontare la problematica nascita del libro, in particolare nella scelta dei titoli che ha dichiarato essere solo un terzo di quelli che originariamente volevano essere inclusi, per via della gran quantità di materiale a disposizione. Un’opera dedicata ai giovani perché, come dice lo stesso Fofi: “il corto è azzardo, sperimentazione, con la possibilità di inventare davvero, di andare oltre i codici stilistici predefiniti”.

Nel volume di Ariecco sono presenti anche autori italiani – in particolare il periodo fra gli anni ’50 e ’60, assieme a avori più recenti come il corto del 1996, di un giovanissimo Matteo Garrone, Silhouette, che venne presentato durante la terza edizione del festival, che narra il lavoro di alcune prostitute nigeriane alle prese con una clientela romana eterogenea. Il titolo, che prende spunto dall’omonima marca di profilattici, sarà precursore del suo successivo lungometraggio ad episodi intitolato Terra di Mezzo (1998). Quest’ultimo è stato proiettato subito dopo la presentazione del film.

In serata sono stati presentati i primissimi cortometraggi, cominciando con la sezione Fare Cinema a Bologna e in Emilia-Romagna il corto di Andrea e Alessandro La Bozzetta Amore Prossimo, già presentato nel 2015 a Cannes e basato su un soggetto basato sulla violenza verbale e contatto fisico nel mondo del campo sportivo.

Subito dopo si è aperta la competizione della sezione principale del festival, Visioni Italiane, inaugurata con il corto 1989, diretto da Francesca Mazzoleni. Il soggetto è basato sulla caduta del Muro di Berlino, l’anno di nascita della protagonista Katrin – originaria di Berlino Est e orfana sia del crollo di un’epoca che della madre che l’ha abbandonata ed è stata uccisa – che oggi è sola, cresciuta a Roma, in una città immutabile che non le appartiene. Qui vive gli ultimi momenti di lucidità di suo padre, Paul, malato di Alzheimer. Durante questa ricerca scopre un complicato puzzle: la verità di una storia familiare, di un amore, di una voglia di libertà. Tema principale del film è il cambiamento su ciò che vogliamo ricordare e ciò che fa male e siamo disposti a dimenticare. Il progetto del film è nato nel 2015 con una raccolta di fondi raggiunta attraverso il crowfunding e conta la partecipazione dell’attore turco Birol Ünel, conosciuto per le sue partecipazioni nei film di Fatih Akın.

Dal dramma all’animazione, con Lungomare di Dan & Dav, ovvero i fratelli Daniele e Davide Ratti, che in soli cinque minuti riescono mettere in campo tutte le tecniche conosciute dell’animazione, compreso l’uso delle riprese dal vivo di un’attrice in carne e ossa. Il tutto con grade ironia si sofferma sul ruolo del contenuto che spesso noi spettatori ci aspettiamo ma un “cartone animato”, ricordandoci che possono avere alte sfere emotive come l’amore. Il lavoro conta tantissimi richiami al mondo dell’animazione popolare, andando dalla Disney a Spongebob, dai Pokemon al Signor Rossi di Bruno Bozzetto, fino alla storia dell’animazione come il muto Gertie di Windsor McCay.

Anche una semplice abitazione, come detto dall’autrice del film Maria Guidone, può essere lo spunto di una storia: stiamo parlando di Swing, prodotto dalla Elle Decor e in collaborazione con OffiCine, che in un formato cinemascope 2.35:1 narra di uno zio, interpretato brillantemente da Giuseppe Battiston, che è stato distante dalla vita – per colpa della perdita del fratello – che si è svolta in quella casa ma, durante lo svolgimento, si riappropria del luogo e ne recupera la frequentazione, il tutto intervallato da qualche tiro a golf. Come già accennato la casa è, attraverso il suo design, lei stessa protagonista del corto grazie alla sua relazione con i personaggi. Un film modello per gli amanti che vogliono analizzare la relazione dei personaggi con il luogo.

Non solo il rapporto con l’ambiente, ma anche con l’attore. Nel corto Es-say, di Chiara Livio Arrigo viene analizzato il rapporto dell’attore col proprio regista viene alla luce in una forma ispirata dal cinema di Jean-Luc Godard, in particolare il lungometraggio A bout de souffle – Fino All’Ultimo Respiro che diventa la base dei dialoghi tra Ondina, la giovane attrice che ripete le stesse battute della pellicola cardine della nouvelle vouge e la sua regista. L’entrare nel personaggio è allo stesso tempo la ricerca di una realtà che si intreccia alla finzione. “La realtà non esiste, o almeno ci sono molti di loro… “

A Vuoto di Adriano Giotti è, come detto dal titolo, la messinscena di quel vuoto che chiunque di noi ha prima o poi vissuto e che prima o poi tentiamo di colmare attraverso un eclatante – ed esplosivo – gesto: un vuoto impossibile da colmare. È questo il tentativo da parte del protagonista del corto di cercare di riavvicinarsi alla ex Gloria, compiendo un gesto avventato e folle come il far esplodere la pompa di benzina in cui lavora. L’euforia scaturita dal gesto purtroppo non serve a riavvicinare i protagonisti e lui si ritroverà solo col suo vuoto.

Per concludere la prima giornata abbiamo un cortometraggio la cui lavorazione, da parte del regista romano Andrea Baroni, è stata molto difficile che ha prodotto una sorta di cortometraggio alla Match Point, nello stile dello scomparso Claudio Caligari. Quando a Roma nevica è un ritratto di una Roma legata alla destra giovanile, dove si intrecciano le storie di Edoardo, un aspirante chirurgo e Cosimo, un cameriere che serve nei catering importanti. Le loro vite si intrecciano su quella di Giulia. E allora gli ospedali di Roma Nord si mescolano alle strade di Roma Sud in un inverno diverso per la capitale italiana. I responsabili del reparto ospedaliero cominciano ad assomigliare agli imprenditori che banchettano sulle terrazze con vista sul Colosseo e i tre protagonisti sono chiamati a scegliere da che parte stare. Non nevica mai a Roma. Se dovesse farlo, non nasconderebbe mai il marcio. Un cortometraggio realizzato tramite crowdfunding e ben girato ed interpretato con richiami alle immagini de La Grande Bellezza di Sorrentino ed anche ai film Stefano Sollima così come ai richiami, durante le scene di irruzione della polizia nella parte finale del corto, ad ACAB – All Cops Are Bastards di Ivan De Matteo.

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25-02-2016

La seconda giornata del festival si è aperta con il Masterclasses dedicato al fare‪usica per il cinemaraniera’ e ‘ si è aperta con  ‎musica per il cinema. Al tavolo Daniele Vicari, regista e sceneggiatore, e Teho Teardo, compositore autore di numerose colonne sonore per il cinema – tra i film a cui ha lavorato: Denti di Gabriele Salvatores, L’amico di famiglia e Il Divo di Paolo Sorrentino e La ragazza del lago di Andrea Molaioli’. I due hanno collaborato, tra gli altri, per i film Il passato è una terra straniera e Diaz – Don’t Clean Up This Blood.

All’interno del suo lavoro “Theo partecipa all’elaborazione della colonna sonora – dice Vicari – avendo consapevolezza che il suo lavoro non finisce con la creazione della sua musica, bensì che comincia da lì. Il musicista di un film deve ‘com-prendere’ (prendere con sé) tutti gli altri elementi del linguaggio cinematografico“. A questo Teardo aggiunge: “Quando lavoro per un film siamo io, il regista e il montatore. Tre elementi, una band praticamente. Il regista e il montatore subentrano nella scrittura musicale, quindi questo è un lavoro collettivo che si fa insieme e il prodotto finale è il risultato del lavoro di tutti. C’è uno scambio di idee, a me piace quando il regista (legato ad una conoscenza professionale visiva e non sonora) mette il becco sulle questioni musicali. È un rapporto intimo. E c’è una gerarchia che ridimensiona in qualche modo le mie responsabilità e che quindi considero un vantaggio: il regista ha l’ultima parola sul film e quindi anche sul legame tra musica e immagini. La mia musica viene cambiata inevitabilmente, amo questa collaborazione“.

Il festival continua nel pomeriggio con la proiezione del video musicale, parte della sezione Fare Cinema a Bologna e in Emilia-Romagna, Canto Fones di Fabrizio Pizzulo. Il video mostra Cristina Zavallone cantare, negli spazi da poco restaurati della Rocchetta Mattei, i versi di un poema di Kostantinos Kavafis.

Subito dopo sono presentati altri cortometraggi parte della sezione Visioni Doc, ovvero la sezione del festival dedicata al documentario. Per aprire la sezione il documentario di Giulio Tonincelli Di Là, che racconta la storia di Erminando Aliaj, fotografo e professore albanese di fotografia di moda.  Nell’aprile del 2014, dopo oltre 20 anni dall’arrivo in Italia, decide di tornare nella sua Albania. Il ritrovarsi nei luoghi e con le persone della sua infanzia fanno riaffiorare le sensazioni e l’esperienza di quella notte di novembre, quando grazie alla coraggiosa scelta della madre, la sua vita cambiò radicalmente.

A seguire il lunghissimo documentario di Bruno Rocchi Bled El Makhzen – Sull’orlo del Marocco, il quale con un occhio da reportage, esplora il Rif, una regione prevalentemente montuosa della parte settentrionale del Marocco, caratterizzata da una forte economia informale, in particolare il mercato dell’hashish e quello del contrabbando illegale di materie varie come i farmaci, il gasolio ed altre materie prime al fine di la sopravvivenza di milioni di persone e l’arricchimento della corrotta élite di governo.

Vite Vitae, un curioso documento da parte di Silvio Franceschet su una Venezia meno conosciuta di quella che tutti noi conosciamo: ovvero quella con una tradizione enologica. Seguendo il lavoro di Flavio che, pigiato fra i turisti della Serenissima la attraversa con il suo carrellino fino all’isola di San Michele, dove insieme ad altri veneziani produce vino di laguna recuperando vigne abbandonate – il tutto seguendo la tradizione e producendolo addirittura in un cimitero.

Per concludere forse uno dei documentari più duri e allo stesso tempo originali del festival: Hailstone’s Dance del regista di origine iraniana Seyed Ali Jenaban e prodotto da Ami Pourbarghi. Il tema principale è la violenza sui minori e in particolare sulle donne,  seguendo le riflessioni di una ragazza che da bambina è stata oggetto di questo male. Allo spettatore viene descritta l’attuale degradante situazione esistente in Iran – spiegando le improbabili e agghiaccianti condizioni che devono essere rispettate per procedere verso una denuncia.

Durante la pausa fra questa programmazione e la successiva è stato offerto al pubblico un assaggio delle specialità tipiche sarde, in particolare formaggi ricotte, ottimi vini e l’inconfondibile pane carasau.

Subito dopo l’aperitivo è seguita la proiezione della sezione Visioni Sarde, caratterizzata sia da un programma contenente sezioni riguardanti la cultura sarda, in particolare il corto di Daniele Pagella Alba delle Jamas che esplora con la fantasia i riti della civiltà nuragica. Dello stesso tema è anche il particolare La Danza dei Sacri Demoni che racconta dei Mamuthones, una particolare festività sarda caratterizzata da un ballo rituale che utilizza maschere, pellicce e trenta chili di campanacci sulla schiena.

Oppure personalità uniche in El Vagòn dei registi Gaetano Crivaro e Andrès Santamaria che s’imbattono fortuitamente con Antonio e Patrizia, una coppia che vive in una carrozza abbandonata. Invitati ad entrare nella loro casa-vagone ai due registi viene svelata una vicenda di eversiva emarginazione. Il film è un esperimento sul tempo e le immagini – in particolare quelle realizzate attraverso varie techiche dal digitale, passando per il super8 e la complessa tecnica fotografica della stenoscopia.

Si distingue dal gruppo il peculiare Dove l’acqua con altra acqua si confonde dei registi Gianluca Mangiasciutti e Massimo Loi, prodotto dalla I Film Good e candidato addirittura ai David di Donatello 2015-16 come Miglior Cortometraggo. La trama segue Luca, un ragazzo solitario che adora andare di notte a nuotare in una piscina, in compagnia del silenzio. Tutto scorre tranquillo fino a quando un lunedì una sconosciuta nuotatrice di nome Mia irrompe nel suo piccolo mondo notturno. Senza che nessuno dei due se ne renda conto, i lunedì diventano un appuntamento fisso per queste giovani anime solitarie, che sguardo dopo sguardo, lentamente iniziano a conoscersi. Quel luogo diventa il loro piccolo ma perfetto mondo, dove l’acqua e la notte diventano silenziosi spettatori, fino al momento in cui Mia, così come era arrivata, all’improvviso sparisce. Solo alla fine, capiremo che il luogo dove l’acqua si confonde con altra acqua è un posto che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo visto e vissuto.

Non manca l’animazione, con il lavoro del giovane artista sardo Paolo Bandinu Meandro Rosso, già vincitore di innumerevoli premi di pittura, che in soli 4 minuti ci presenta un’interpretazione in chiave pittorica alle visionarie intuizioni di tre grandi registi: Lynch, Fellini e Risi. Muto e sulla base di un linguaggio filmico non narrativo il lavoro vuole mettere in risalto il tortuoso e intricato circuito del vagare nei meandri della mente. I dipinti diventano una superficie di passaggio in cui il susseguirsi rapido delle immagini non giunge ad un risultato finale ma lascia una traccia che si trasforma per dare forma a scenari che mutano costantemente.

Per concludere la sezione troviamo Per Anna, di Francesca Scanu e Andrea Zuliani. Il cortometraggio, scritto nel 2010, è stato portato alla luce grazia ad una campagna crowfunding – assieme ad un finanziamento da parte della Regione Sardegna – è la storia di due bambini: il muto Nicola e Anna un paesino sperduto della Sardegna. ribelli e pieni di vitalità, passano insieme una giornata magica, di avventura e scoperte indimenticabili. Nicola è pronto a donare ad Anna il suo sessineddu – che è un intreccio di giunchi contenenti frutta, pane decorato, dolci e nastri di vari colori – rinunciandovi per lei. Al falò, però, Anna e il padre non si presentano. Nicola corre da lei, ma riesce solo a vedere i fari della Fiat 600 che si allontanano sempre di più, mentre in una corsa a perdifiato vorrebbe gridare forte ma non può. Anna torna a Gergei molti anni dopo. Ormai è una donna, ma quel breve e intenso incontro con Nicola non l’ha mai dimenticato. E forse è così anche per lui…

Il corto, già vincitore del premio della giuria per la sceneggiatura al Mitreo Film Festival, è un progetto piuttosto complesso, per via di un’ambientazione che va dagli anni ’60 e ’80, oltre che la necessità di portare mezzi tecnici e troupe cinematografica in delle location non proprio a portata di mano come Gergei.

26-02-2016

La terza giornata del festival si apre con l’interessante ed allo stesso tempo imperdibile incontro con lo scrittore e sceneggiatore Giampiero Rigosi, autore di vari romanzi ed allo stesso tempo film e serie TV come Distretto di polizia e L’Ispettore Coliandro.

Durante l’incontro l’autore si è all’inizio soffermato sulla sua personale carriera di scrittore di romanzi, più libera da vincoli – citando Scott Fitzgerald “bisogna fidarsi di uno sconosciuto, se stessi” – a quella di sceneggiatore televisivo al contrario della prima più vincolante durante la fase dell’adattamento per due ragioni essenziali: il problema del budget di produzione e quello dell’attenzione stessa dello spettatore: chi esce di casa e va al cinema è più predisposto a seguire una storia rispetto a colui che segue una fiction televisiva, affermando che il nemico stesso è il telecomando. Il problema dell’adattamento televisivo, prendendo da esempio Distretto di Polizia, non solo è la lavorazione della trama, ma anche la costruzione stessa dei personaggi: a volte di propria creazione – con una personale esplorazione – o a volte già creati da altri autori e quindi con dei paletti da seguire in modo categorico – e ovviamente comprendenti dei margini di errore – al fine di non forzarli e portarli sulla sfera dell’irreale e della “macchietta”.

Nell’ambito cinematografico i cambiamenti possono essere sterminati, come ad esempio la scelta di cambiare l’ambientazione – nel caso di Notturno Bus – da Bologna a Roma per ragioni di ordine economico o nella stessa trasformazione dell’opera, dicendo che spesso “bisogna fare a pezzi la propria creatura in un altro modo e stile”, come ad esempio la trovata originale di trasformare l’inseguimento da due auto a due autobus – al fine di staccarsi dal modello americano ormai rivisto in tutte le salse.

Parlando di Coliandro e dei Manetti Bros, Rigosi ha voluto sottolineare che sia forse l’erede degli antieroi del cinema di Dino Risi e Mario Monicelli: comprende i nostri vizi e pregiudizi, sottolineando che in realtà la nascita del personaggio non è sempre parte dello sceneggiatore e del regista, ma anche dell’attore stesso come appunto Morelli improvvisando sul set –  ad esempio sua è l’idea di portare la canottiera infilata nelle mutande. Per concludere, prendendo esempi conosciuti dalla serialità televisiva popolare, ci rivela che spesso un’infinita fonte di ispirazione sono gli scrittori classici russi – ad esempio Colombo è in realtà ispirato dall’investigatore di Delitto e Castigo di Karamazov.

Nel pomeriggio è seguito l’interessante – e affollato – incontro tra Gianluca Farinelli e il regista Matteo Garrone. Il regista, che ha voluto incontrare il pubblico nonostante fosse febbricitante, ha voluto raccontare dei suoi esordi, nati dopo una delusione sportiva e, come la carriera da tennista che dovette abbandonare a causa di un grave infortunio che lo costringe ad appendere la racchetta al chiodo. Nel frattempo aprì un locale e cominciò a dipingere – spesso anche su materiali da costruzione trovati nei cantieri – mettendo dei soldi da parte. La scoperta del cinema arrivò molto tardi, solo a 26 anni grazie all’incontro con Marco Onorato – che divenne fino alla morte il suo unico direttore della fotografia – che gli consegnò delle pizze di pellicola scartate da una precedente produzione e che Garrone conservò per molto tempo in frigorifero – una pratica molto comune all’epoca per evitare il deperimento del supporto. Fu in questo periodo che incontrò nella periferia romana le prostitute nigeriane e i loro pittoreschi clienti che sarebbe diventati i protagonisti del già descritto Silhouette. Il cortometraggio vinse il Sacher Festival di Nanni Moretti. Grazie a questo premio Garrone ha potuto produrre il terzo episodio, Self Service e unito al secondo intitolato Euglen & Gertian avrebbe montato il tutto assieme per formare suo primo lungometraggio: Terra di mezzo (1996). Durante l’incontro Garrone ha parlato del fondamentale aiuto dato dal suo fedele direttore della fotografia Marco Onorato, che lavorò con Garrone da Silhouette fino alla sua morte nel 2012, dopo il termine delle riprese di Reality. Parlando del suo ultimo film, Il Racconto dei Racconti, Garrone ha descritto il cambiamento nel modo di girare, totalmente distante dai precedenti, come l’abbandono del girare in sequenza cronologica, la decisione che lo stesso Garrone non sarebbe stato il cameraman del film – per il suo uso in modo emozionale – e ovviamente il nuovo direttore della fotografia, Peter Suschitzky – che vanta nella sua filmografia collaborazioni che vanno da Star Wars ai film di John Boorman, Ken Russell e più importante di tutti David Cronenberg – che spesso non reggeva la libertà di Garrone nelle riprese perché Suschitzky prediligeva una macchina da presa fissa rispetto a quella a mano, al fine di controllare la luce nella scena. “L’immagine è più potente della storia, anche il paesaggio”, come dice lo stesso Garrone in merito alla potenza visiva presente all’interno dei suoi film, assieme a uno sguardo verso il grottesco, l’antropologico e la mostruosità nel suo cinema, assieme ad altri temi come quello del coraggio e dell’accostare la fantasia con la realtà – il tutto senza toccare il tema della denuncia – in luoghi finora poco esplorati nel cinema – come Michael Powell disse Farinelli.

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Durante la presentazione sono state presentata una clip inedita del padre Nico Garrone – che è stato un giornalista e critico teatrale – tratte dall’ultima puntata del documentario televisivo del 1980 L’Altro Teatro, assieme ad una intervista con Leo de Berardinis. “Gli esclusi dal Paradiso, dai dannati della terra che lo cercano”. Per concludere Garrone ha voluto citare i suoi autori guida: Jean Vigo “perché riesce a mescolare l’onirico con la realtà”, e Paul Thomas Anderson.

La serata si è conclusa con la proiezione di due interessanti documentari, che fanno parte della sezione Fare Cinema a Bologna e in Emilia-Romagna: Dustur – Costituzione e È accaduto in città.

In arabo, dustur vuole dire, “costituzione”. Perché la variante geniale e provocatoria del film di Santarelli è che a seguire una serie di lezioni sulla costituzione italiana, con lo scopo finale di scrivere una nuova “costituzione dei sogni”, sono un gruppo di detenuti musulmani del carcere della Dozza di Bologna. A condurre il dibattito è Ignazio, un monaco impegnato che parla l’arabo molto bene e conosce il diritto islamico. Solo alla fine capiremo il nesso fra Ignazio e la materia delle lezioni-discussioni che guida nella biblioteca del carcere: lui fa parte della Piccola famiglia dell’Annunziata, la storica congregazione religiosa fondata da uno dei padri della costituzione italiana, Giuseppe Dossetti. Fuori dal carcere seguiamo la storia di Samad, un ex trafficante di droga che è passato per la Dozza ma ora è iscritto alla facoltà di legge dell’università di Bologna. Le parti più coinvolgenti del film di Marco Santarelli sono quelle in cui i detenuti-studenti, inquadrati da una cinepresa discreta, mai invadente, si misurano con la questione complicata della contraddizione, o meno, fra la legge dell’uomo e quella di Dio.

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È accaduto in città, a differenza del precedente, rivive in maniera lucida e dettagliata il passato bolognese anni 80 e 90 grazie allo sguardo fotografico di Luciano Nadalini, decano dei fotoreporter bolognesi. Lo stesso Nadalini racconta l’inizio dell’attività politica in fabbrica – come sindacalista presso la Ducati – e poi l’incontro con il mestiere di fotografo grazie ai primi scatti per la rivista Mongolfiera. Il tutto nasce quasi per caso: la fotografia di una bambola trovata fra le lamiere della strage del rapido 904, avvenuta nel 1984 a San Benedetto Val di Sambro. Qualche anno dopo inizia la sua collaborazione per il quotidiano “L’Unità” dove documenterà attraverso il suo obiettivo le occupazioni punk, piene di creste, giubbotti in pelle nera, i giovani della Pantera, il movimento di protesta nazionale nato sull’onda della contestazione della riforma Ruberti, le occupazioni per il diritto della casa, la cosiddetta “protesta dei vassoi”, contro la privatizzazione della mensa universitaria e le esperienze dell’Isola nel Kantiere. Il tutto senza dimenticare l’idea di mettere insieme gli archivi dei vari reporter. Una lunga lista di eventi che in 20 minuti vengono raccontati dalla giovane regista Normi Pulvirenti che riesce a ricordarci il fondamentale ruolo svolto da uno dei più grandi fotografi bolognesi.

27-02-2016

Durante il penultimo giorno del festival l’incontro con lo Studio Croma, il piccolo ma promettente studio di animazione bolognese che in pochissimi anni dalla sua fondazione, avvenuta nel 2011, sta facendo molta strada nel mondo dello stop motion.

Lo studio conta 4 membri, Guglielmo Trautvetter, Giacomo Giuriato e Matteo Burani e Pier Paolo Paganelli. I ruoli sono: Guglielmo e Pier Paolo alla regia, Giacomo animazione, Matteo characters design e puppet making. Il tutto nacque per gioco al liceo artistico – il loro nome deriva da un loro personaggio, chiamato appunto Croma – e da subito si orientarono verso la produzione di progetti di video animati, estremamente curati in ogni loro millimetro. Il primo progetto, non distribuito, è il corto Cena al Cimitero (2013) che richiese 6 mesi di lavoro, assieme a molta post-produzione che durò quasi un anno, su una trama legata al genere zombie.

Il cambiamento arriva con il corto successivo: La Valigia che si eleva dal primo nella qualità, con l’uso di pupazzi in silicone stavolta alti 40 centimetri ed una location più grande per permettere un’animazione più naturale e piena di dettagli. Il tema fondamentale è la malattia dell’Alzheimer: è il racconto struggente e malinconico di un anziano che, grazie ai ricordi racchiusi in una valigia, ripercorre i momenti più importanti della sua vita, il tutto su uno stile che richiama il regista Terry Gilliam. La regia è forte, con il disorientamento nel tempo e nello spazio, assieme ad un sapiente uso del carrello crain – utilizzato per la prima volta. Il cortometraggio è il primo ad essere distribuito ed oltre alla nomination che arrivano ai David di Donatello e ai Nastri D’Argento, viene addirittura proposto all’estero negli Stati Uniti, con un tour promozionale in vari musei di Washington. A differenza del primo il corto richiese ben un anno e mezzo per animare solo 15 minuti. “il segreto dell’animazione”, come ci racconta il regista Guglielmo, “è la pazienza astronomica nell’animare due secondi a settimana”.

Non solo corti, ma anche collaborazioni con il Future Film Festival con la realizzazione di due spot, Tweet the Monster – che cita assieme il genere zombie e la celebre scena della roulette russa de Il Cacciatore di Michael Ciminino – e The Flying Man – stavolta il futuro in maniera ironica con il divertente riferimento con Doc e Marty di Ritorno al Futuro. Assieme ad un bellissimo videoclip C’eravamo tanto sbagliati, per conto del gruppo musicale Lo Stato Sociale. Da notare come andando avanti di anno in anno aumenta la qualità tecnica e artistica delle loro produzioni.

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Quest’anno tornano al festival Visioni con La leggenda della Torre, frutto di un anno di lavoro da parte dello studio per l’aumento della qualità visiva e tecnica dell’animazione. Tra teorie accreditate, leggende e visioni fantastiche, infatti, le torri di Bologna si predispongono alla reinterpretazione artistica: da qui nasce una fiaba in piena regola, con tanto di avvenimenti e personaggi magici, frutto di una mescolanza di aneddoti ed episodi della tradizione orale, e con sottinteso quell’intento di crescita morale tipico della favolistica. Riuscirà Asinelli a liberarsi del terribile ostacolo alla sua serenità? L’assenza di un lieto fine conferma il riferimento al solco più storico della narrativa fiabesca, le cui trame spesso si discostano dalle versioni disneiane del Novecento.

Nel pomeriggio l’incontro con Pier Giorgio Bellocchio che, in assenza del suo regista Sergio Rubini, presenta al pubblico il cortometraggio La Tela. Il film è il frutto dello stage Fare Cinema del Bobbio Film Festival, quest’anno diretto appunto da Rubini assieme a Roberto Abbiati, Pier Giorgio Bellocchio e Gianni Schicchi. La trama è molto semplice: il bifolco Bartolo deve consegnare una preziosa tela olandese – si tratta del dipinto di Frans Hals La Società Meagre – a un principe, come dono di nozze. Il viaggio tra boschi e luoghi della Valtrebbia è un itinerario ricco di suggestioni e immagini d’antan seicentesche. Rubini privilegia la dimensione dell’epos, con un’attenzione modernissima alla funzione individuale e sociale dell’arte, dimostrando una sensibilità molto speciale per gli ambienti naturali ma mai nella direzione del pittoresco: sono spazi agiti, vissuti, attraversati, che fanno da collegamento allo spazio antropizzato, segnato dalle gerarchie fra gli uomini. Al centro di tutto un uomo umilissimo, fragile, buffo, instabile sul cavallo – un po’ come il Jean Rochefort dello sfortunato Don Quixote di Terry Gilliam – a cui peraltro l’eccellente Roberto Abbiati non ha nulla da invidiare. Un film di 27 minuti, frutto di un lavoro di due settimane svolto in equipe assieme alla partecipazione di 25 ragazzi che hanno potuto avere l’opportunità di assistere al lavoro eseguito da professionisti. Inoltre il cortometraggio è la messa in scena dell’idea originale del film Il Viaggio della Sposa dello stesso Rubini, che prevedeva al posto di Giovanna Mezzoggiorno appunto la tela di Hals.

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La serata continua con la sezione di Visioni Italiane, a cominciare dal divertentissimo corto di Alessandro Capitani Bellissima, dove si racconta l’avventura di Veronica che ha venti anni ed è imprigionata in un enorme corpo obeso. Durante una festa in discoteca subisce lo scherno di un ragazzo, che la prende in giro proprio per il suo aspetto fisico. Disperata, Veronica si nasconde nei bagni maschili della discoteca convinta che fra le mura chiuse di quel posto nessuno possa vederla e giudicarla. Il destino però ha in serbo una piacevole sorpresa per lei, con un’ispirazione dalla leggenda dell’amore di Piramo e Tisbe.

Anche la crisi economica è parte dei temi toccati dai corti di Visioni: L’Impresa, diretto da Davide Labanti – conosciuto per essere uno dei fondatori dell’Associazione Culturale Kinodromo – che con delicatezza affronta un tema maturato grazie alle interviste fatte ad imprenditori del bolognese. Il corto racconta di un’azienda in crisi, costretta a bloccare gli stipendi agli operai per non vendere o delocalizzare l’attività. Protagonista è un imprenditore che ha a cuore la vita dei suoi lavoratori e che farebbe qualsiasi cosa per salvare l’azienda, anche arrivare a gesti estremi, fingendo un incidente sul lavoro per recuperare i soldi dell’assicurazione sulla vita. Il regista ci racconta che il titolo “introduce quello che io definisco il protagonista fantasma, il ‘mostro’ che non vedi mai ma è sempre sotto gli occhi dello spettatore. Inoltre il termine ‘impresa’ gioca con il duplice significato da un lato di fabbrica, attività economica e dall’altro di impresa umana. Impresa dai connotati eroici, se si vuole.” L’opera, prodotta da Seiperdue, Amaro Teatro e Dogntree, ha vinto la categoria “Corti di fiction” nella nona edizione del premio L’anello debole.

Presentato in anteprima nazionale è il corto attuale – anche se scritto nel 2010 – La Slitta della regista di origine belga Emanuela Ponzano. Partendo dalla famosa battuta del Citizen Kane di Orson Welles “Rosebud”, anche in questo caso una slitta che viene sottratta dal protagonista è il simbolo della perdita della purezza, dell’innocenza e la gioia dell’infanzia, lasciando la malinconia di un’esistenza privata di quell’originario rapporto d’amore che dovrebbe avvolgere l’inizio e lo sviluppo della vita di ogni essere umano. La storia è semplicissima: ci sono un padre, una madre e il figlio Alfred, una famiglia dunque in cui s’insinua – forse a causa dell’isolamento in cui vive – il germe dell’intolleranza, e solo grazie al piccolo Alfred questo pericolo viene scongiurato. Realtà e sogno magicamente si confondono, ma a differenza dell’opera di Welles, di cui questo film sembra quasi ‘il risarcimento morale’, la slitta c’è, è lì, pronta ad accompagnare la crescita di una giovane vita e ad assolvere la funzione di collante per tenere insieme quelle differenze che se valorizzate costituiscono un arricchimento cui non si può rinunciare. I due ragazzini – di cui l’altro è albanese – prima tenacemente ostili, si ritrovano nella gioia del gioco scivolando insieme con la slitta sulle pendici di una montagna lucana che si offre come lo scenario ideale per suggellare l’unione di due anime.

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Per concludere il particolare e divertente corto di Fulvio Risuelo Varicella. Girato su pellicola 35mm donata in occasione dalla Kodak – cosa ormai rara nel cinema indipendente – il film è vincitore della Semaine de la Critique del festival di Cannes come miglior cortometraggio. La varicella è una malattia innocua se presa da bambini, ma da adulti può essere molto pericolosa. Quando la mamma lo viene a scoprire inizia a preoccuparsi per il suo figlioletto Carlo, che ancora non l’ha presa. Lui cresce in fretta e bisogna agire subito. La soluzione? Fare in modo che il suo bambino s’ammali al più presto per evitare spiacevoli conseguenze tra qualche anno. Ma il marito, nonché papà di Carlo, è d’accordo? Non tanto vista la sua reazione alla proposta e la discussione si fa aspra. Insomma una vicenda paradossale narrata con tono apparentemente cupo e drammatico. Dopo gli applausi finali, il corto compie il suo messaggio e le persone ancora in Sala Scorsese interagiscono tra di loro: “Io ho avuta la varicella e tu?”.

La serata si conclude con il divertente Backstage della serie L’Ispettore Coliandro – Il Ritorno, conclusasi la serata prima con addirittura una proiezione in piazza in compagnia dell’attore protagonista Giampaolo Morelli. La serie, dopo 5 anni di assenza a causa di alcuni problemi di palinsesto – cosa che ha fatto penare l’enorme truppa di fan – è tornata con uno straordinario successo sul canale Rai 2, grazie a un mix di azione e commedia nel mondo criminale bolognese, con tanta normalità. Il Backstage è stato curato da Valerio Gnesini. Con tanta ironia ci racconta in sala uno dei Manetti Bros, Antonio, l’onnipresente allegria presente sul set. Anche se il film viene spesso girato con due troupe diverse, non si notano per niente nel risultato finale. “Siamo lo stesso regista” dice Antonio, ammettendo che lui è il regista più legato alla parte tecnica e visiva – spesso è l’operatore delle riprese – mentre Marco è colui che si occupa della recitazione degli attori, a volte concedendosi qualche cameo nelle puntate.

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28-02-2016

Ormai siamo arrivati alla chiusura del festival. Si cominciano a fare i conti finali delle proiezioni e delle previsioni. Il tutto senza un’attenta riflessione sul fare cinema oggi in compagnia della coppia Alba Rohrwacher e Saverio Costanzo. Oltre a far parte di questo festival, sono stati anche parte della giuria di altri prestigiosi festival come Il Festival del Cinema di Venezia per Costanzo – nella categoria Orizzonti – e il Festival internazionale del Cinema di Berlino per la Rohrwacher, assieme alla presidentessa di giuria Meryl Streep.

Andando a ritroso nel tempo, sentiamo da Alba raccontare i suoi primi ricordi cinematografici attraverso la TV – imposta dal padre che le permetteva di vedere ad esempio i films di Bud Spencer e Terence Hill – e la scoperta di capolavori cinematografici come Novecento di Bernardo Bertolucci e i suoi primi film visti al cinema: Gli Aristogatti ed E.T. l’extra-terrestre di Steven Spielberg.

Costanzo – al contrario dei gusti di Alba – scoprì il cinema molto tardi, seguendo all’inizio un cinema “più consumista” con pellicole come Innamorato Pazzo con Celentano, Top Gun e Karate Kid. Il cambiamento arrivò solo con la scoperta del cinema di Frederick Wiseman. Più che girare film, Costanzo voleva raccontare in modo etnografico l’ultima emigrazione italiana anni ‘90 nei sobborghi di Brooklyn – nell’era dei Gambino, dei Genovese e quella dei Soprano – con il suo esordio alla regia Caffè mille luci, che gli permise di acquisire sia la sua tesi di laurea in sociologia e un’esperienza sul campo. Nel 2002 arrivò con il lavoro di genere documentario Sala Rossa ma il vero successo arriva con l’uscita del film Private, maturato dopo la sua visita in Palestina – un film quasi incredibile con una collaborazione fra attori israeliani e attori palestinesi che recitavano gli uni accanto all’altro – che venne completato in Calabria. “La realtà è autosufficiente nella creazione del cinema stesso”. Il film vinse il Pardo d’Oro del Festival del Cinema di Locarno e tra le altre cose avrebbe dovuto rappresentare l’Italia alla cerimonia degli Oscar del 2005, se non fosse stato per il fatto che il film non ha previsto l’italiano come lingua di recitazione.

Ricordando il suo La solitudine dei numeri primi, tratto dal romanzo di Paolo Giordano, Costanzo dice al pubblico che vedere un film senza leggere il libro originale da cui è tratto è quasi un’assurdità: “Io metto lo spettatore nella condizione di non collegare il film dal vero, l’essere infedele al libro che spesso funziona”.

Tornando ad Alba, il suo esordio avvenne grazie a Carlo Mazzacurati con L’Amore Ritrovato, anche se in realtà l’anno prima aveva recitato nelle vesti di una suora nella scena del convento nel film di Marco Bellocchio L’ora di religione, durate i suoi studi presso il Centro Sperimentale, assieme all’iscrizione a 18 anni presso un corso teatrale a Firenze – affascinata nello stesso tempo alla vita ginnica del circo. Tornando a L’Amore Ritrovato – dove vi lavorò per soli due giorni – ricorda che nella sua prima scena, girata su un ponte a Pisa, riguardante un matrimonio che avrebbe celebrato di lì a poco: per dimenticò sul set la battuta e improvvisò la scena che le venne detto che andava molto bene. “Ricordo quella sensazione fisica del pulsare il cuore dentro gli occhi”. Non a caso spesso i suoi ruoli cinematografici sono dei personaggi molto difficili e complessi. “36 film in 12 anni: quando hai capito che era il tuo Mestiere?”, le chiede Gianluca Farinelli. “Non l’ho ancora capito” risponde ridendo Alba. Durante l’incontro prende la parola anche il regista Giorgio Diritti, che l’ha diretta in L’Uomo Che Verrà – presente in sala – affermando che lei come attrice è una testimonianza che l’attore parte di sé, “Alba è più autrice in senso stretto”.

Continuando la discussione, tornando al tema fondamentale del festival Visioni, Farinelli chiede alla coppia “A che punto è il cinema Italiano?”

Saverio Costanzo sull’argomento è profondamente pessimista, oggi ci sono meno sale e spettatori: “Preferisco un’industria all’americana: una ‘alta’ e una ‘bassa’ che a differenza della prima segue il pubblico”, facendo riferimento a compagnie come la Time Warner e la Fox Searchlight Pictures. Il problema è il passare dal film non interessante all’opposto: oggi è difficile essere un autore auto-riferito e bisogna proibire questo emanciparsi che blocca l’ideologia. Il cinema italiano non ha una scuola forte eppure oggi quello più importante è proprio quello italiano: negli anni ‘80 e ’90 il cinema italiano ebbe un vuoto autoriale troppo legato al neorealismo e “al cinema che finiva nei tinelli”, mentre dal 2000 ad oggi esistono almeno 10 registi italiani imperdibili da vedere in sala. Oggi quasi nessun regista ha una carriera composta da un singolo film.

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Alba Rohrwacher, riferendosi a Meryl Streep ed in particolare al film, vincitore dell’Orso d’oro al festival internazionale del cinema di Berlino, Fuocoammare di Francesco Rosi – ammette che in realtà il film non è stato difficile da scegliere nella lista dei vincitori per la sua peculiarità di non essere un documentario, ma un ibrido che sfiora la perfezione.

Costanzo inoltre rivela la sua disapprovazione verso il paradosso presente all’interno della convenzionalità del cinema d’autore contemporaneo: “è come ammirare il festival dei diritti umani”, detestando il visto e rivisto ricatto socio-politico già introdotto dal cinema dei fratelli Dardenne – che in realtà ne fanno un fumetto. “Non mettono nella maggior parte luce sul fatto che vengono solo visti ‘da gente di festival’, bisogna trovare un cinema puro che adesso è molto raro”. Il cinema non è mostrare, ma andare oltre, collegandosi alle premiazioni dei Premi Oscar che avverranno a distanza di poche ore dall’incontro: “Pensate alla differenza che esiste fra The Revenant e The Hateful Eight – la vendetta e la neve non sono mai stati così diversi in uno con il dolore e la sofferenza mostrata in modo così superficiale e nell’altro c’è la sublime demagogia dove dentro c’è tutto come la politica e il divertimento. In uno si chiudono gli occhi perché dà fastidio vedere il dito dentro la ferita e nell’altro si muore sparandosi sui coglioni e non si chiudono mai gli occhi. Nel cinema non bisogna mai chiudere gli occhi”.

A seguire la conclusione del festival con lo spoglio dei premi del festival nelle sue diverse categorie. La giuria composta da Pier Giorgio Bellocchio (attore), Saverio Costanzo (regista), Daniele Furlati (musicista), Alba Rohrwacher (attrice), Davide Turrini (giornalista) per Visioni Italiane, Concorso Nazionale per Corto e Mediometraggi 2016, assegna il Premio al Miglior Film consistente in 1.000€ al film: VARICELLA di Fulvio Risuleo. Perché ci ha convinto la sua solidità registica. Poche inquadrature ma fotografate bene. Utilizzo dello spazio scenico essenziale ed elegante. La recitazione spinta sul filo rischiosissimo della credibilità risulta essere originale e complessa. Un film che riesce, senza fare proclami socio politici dozzinali, ma con il semplice linguaggio del cinema, nell’intento di raccontare il nostro presente.

La giuria attribuisce una menzione speciale a L’IMPRESA di Davide Labanti
per una prolungata inquadratura finale che possiede tensione e mistero . Un piccolo film dal grande respiro di genere.

Premio alla Migliore Sceneggiatura – Gli allievi di Bottega Finzioni assegnano il premio per la migliore sceneggiatura consistente in un pacchetto di tre consulenze narrative sulla sceneggiatura di un cortometraggio a: BELLISSIMA di Alessandro Capitani per aver saputo, in pochi minuti, creare una storia completa con tanti significati e un bel colpo di scena finale. I dialoghi sono brillanti e i personaggi ben caratterizzati e una Menzione Speciale a DUE PIEDI SINISTRI di Isabella Salvetti per il valore dei contenuti racchiusi in pochi minuti e i due colpi di scena consecutivi. Azzeccata anche la scelta del titolo.

Premio per il miglior contributo tecnico – La giuria composta da studenti e docenti della Scuola di Ingegneria ed Architettura dell’Università di Bologna, assegna il premio per il miglior contributo tecnico a 1989 di Francesca Mazzoleni per la qualità impeccabile delle riprese, del montaggio ed in generale della qualità audio-video. Particolarmente ricche in tal senso la sequenza iniziale è quella finale.

Premio al Migliore Attore

Gli allievi della Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone assegnano il premio al miglior attore a LUCA DI GIOVANNI per QUANDO A ROMA NEVICA di Andrea Baroni
per la sua interpretazione “chirurgica”, di una freddezza mirata, dalla quale emerge il tormento segreto di un’anima macchiata da un opportunismo inconfessabile.

Premio alla Migliore Attrice

Gli allievi della Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone assegnano il premio alla miglior attrice a JULIE LESGAGES per TOTEMS di Sarah Arnold per la sua convincente capacità espressiva, drammatica e ironica. La naturalezza dell’interpretazione è rinvenibile anche nei momenti più “paradossali” della vicenda rappresentata.

Premi Kinodromo – I mestieri del Cinema (premiazione il 21/03)

Sceneggiatura: QUANDO A ROMA NEVICA di Andrea Baroni

Fotografia, ex aequo: 1989 di Francesca Mazzoleni e AGOSTO di Adriano Valeri ed Eva Jospin

Scenografia: QUANDO A ROMA NEVICA di Andrea Baroni

Costumi: TINDER SORPRESA di Riccardo Antonaroli

Trucco: BELLISSIMA di Alessandro Capitani

Sound FX: TOTEMS di Sarah Arnold

Musiche: 1989 di Francesca Mazzoleni

Montaggio: BELLISSIMA di Alessandro Capitani

Effetti speciali visivi: TINDER SORPRESA di Riccardo Antonaroli

Recitazione: BELLISSIMA di Alessandro Capitani

VISIONI DOC 2015

14a edizione

La giuria composta da Francesca Borghetti (autrice e produttrice), Renato De Maria (regista), Luca Rosini (regista) si è dichiarata d’accordo all’unanimità sulla grande qualità dei lavori selezionati. MENZIONI SPECIALI a: NOGOSON di Alberto Segre: lavoro che ha messo d’accordo tutti per la qualità altissima della scrittura visiva, per l’organicità del rapporto tra immagini e contenuti e per le emozioni che trasmette pur non mostrando mai i protagonisti delle storie raccontate. IL SUCCESSORE di Mattia Epifani: menzione per la struttura narrativa dell’opera. Il film permette di entrare in contatto con la drammatica parabola di un uomo che combatte con i mostri della sua eredità familiare. Un monumento a una redenzione sempre possibile. NEMICO DELL’ISLAM? UN INCONTRO CON NOURI BOUZID di Stefano Grossi: Menzione per l’abilità di averci offerto un affresco quanto mai attuale delle contradizioni che affronta oggi il mondo islamico. Un’approfondita anatomia dell’opera del regista tunisino Nouri Bouzid che ha messo in gioco la sua vita per affermare un punto di vista libero.

Assegna il premio Visioni Doc/ Doc.it del valore di 1.000€ a: HAILSTONE’S DANCE di Seyed Ali Jenabian e Ami Pourbarghi per la forza visiva del racconto e l’approccio al soggetto. I registi offrono al pubblico un tema durissimo, affrontato con grande originalità stilistica, rompendo l’afasia di un regime opprimente e restituendoci con emozione il dramma di un’infanzia perduta.

PREMIO Visioni Doc D.E-R

La giuria D.E-R (Documentaristi Emilia-Romagna) composta da studenti del Dams assegna al miglior documentario in concorso nella categoria Visioni Doc il premio D.E-R a LA MIA CASA E I MIEI COINQUILINI (Il lungo viaggio di Joyce Lussu) di Marcella Piccinini
per la raffinata ricerca delle fonti, assieme ad un’elevata maturità tecnico-linguistica, il film fa scoprire un personaggio come Joyce Lussu dalla forte personalità sia a livello culturale che storico.

PREMIO SPECIALE VISIONI DOC – Premio Speciale per la Comunicazione Storica e la Documentazione del Presente assegnato dagli studenti del Master di Comunicazione Storica dell’Università di Bologna coordinati dal prof. Mirco Dondi viene attribuito a
IL SUCCESSORE di Mattia Epifani. L’intreccio narrativo si sviluppa a partire da una storia personale e si lega a quella del conflitto bosniaco. Se le immagini di repertorio aprono una finestra sul passato, le testimonianze dei protagonisti ci riportano a un presente disseminato di orrori insanabili. Il territorio nasconde le sue mine come le persone nascondono il proprio dramma.

VISIONI AMBIENTALI 16a edizione – La Giuria composta da studenti del progetto “Ambiente si laurea” della Regione Emilia-Romagna, coordinati da Sara Branchini del Centro Antartide e da Marco Galaverni del WWF, per la 16a edizione di Visioni Ambientali 2016. Assegna il terzo premio di 200€ offerte da Villaggio della Salute a L’ECO-FATTORIA SUL TETTO DEL MONDO di Giovanni Ortolani per lo sguardo diretto e il racconto semplice ma di grande efficacia di un progetto concreto e virtuoso che mette la radici nel presente per costruire un futuro, non solo ambientale ma anche sociale, dando nuovi stimoli e prospettive alle giovani generazioni dell’Annapurna.

Il secondo premio di 300€ offerte da Villaggio della Salute Più a: ARDEIDAE di Corrado Chiatti, Chiara Faggionato, Daniele Tucci per la suggestiva rappresentazione del paesaggio e l’effetto fortemente ossimorico del racconto che ci aiuta a interrogarci su un futuro di cui spesso non consideriamo la realtà e l’imminenza.

Il primo premio di 500€ offerte da Villaggio della Salute Più va a: UNLEARNING di Lucio Basadonne per la semplicità e la schiettezza del racconto di questa coraggiosa sperimentazione di vita, lo sguardo aperto e non pregiudiziale sulle tante esperienze di organizzazione diversa e la grande forza di coinvolgimento che nasce dal mettersi in gioco in prima persona.

VISIONI ACQUATICHE – Mare Termale Bolognese – 4a edizione

Visioni Acquatiche, realizzato insieme a Mare Termale Bolognese, nasce per premiare quei film che affrontino il tema dell’acqua come fonte di vita, benessere, salute e turismo, in modo originale e creativo: 3° Premio del valore di 200€ viene assegnato a: LEGNO di Domenico Martoccia, Francesco La Cava, una storia che sfiora l’attualità senza bisogno di sbandierarla; il legno come metafora della vita, che ha bisogno dell’acqua per crescere e che verso l’acqua sarà sempre risospinto.

2° Premio del valore di 300€ va a: NELL’ACQUA di Paolo Geremei, un’immersione nella storia personale di un’atleta molto particolare, che bracciata dopo bracciata trova la sua strada senza limitarsi a galleggiare.

1° Premio del valore di 500€ viene assegnato a: DOVE L’ACQUA CON ALTRA ACQUA SI CONFONDE di Gianluca Mangiasciutti, Massimo Loi, l’acqua come barriera che può dividere ma al tempo stesso unire e diventare tramite di relazione e autenticità, in un corto dal finale delicatamente dolceamaro.

VISIONI SARDE – 3a edizione

La Giuria di Visioni Sarde composta da Marcello Fois, Alberto Masala, Bruno Mossa, Paolo Pulina, Antonello Rubattu attribuisce il 1° premio di 1.000€ a: EL VAGÒN di Gaetano Crivaro Andrès Santamaria, una storia che comunica le sofferenze di un ambiente degradato, rappresentandolo, in maniera non tradizionale, con mezzi tecnici poveri che ben si adattano alla situazione.

La Giuria Giovani di Visioni Sarde attribuisce il premio di 500€ a: PER ANNA di Andrea Zuliani
per l’avvincente trama, il tema di carattere sociale e l’originalità del finale.

Entrambe le Giurie hanno inoltre assegnato la menzione speciale a DOVE L’ACQUA CON ALTRA SI CONFONDE di Gianluca Mangiasciutti e Massimo Loi, per l’ambientazione insolita che vuole essere evocativa di una vita solitaria ancora immersa nel liquido amniotico. Molto raffinato il riferimento alla poesia dove l’acqua con altra acqua si confonde di Raymond Carver che ha ispirato il titolo.

La FASI ha assegnato anche il PREMIO SPECIALE FASI ad ALBA DELLE JANAS di Daniele Pagella, realizzato con le più moderne tecniche di ripresa e di animazione 3D, riesce nell’intento di visualizzare i fantastici protagonisti dei miti e delle leggende della storia sarda.

VISIONI URBANE – 2a edizione

La Giuria di Visioni Urbane composta da Enrico Costa (urbanista), Antonio Iascone (ingegnere), Alessio Lauria (sceneggiatore e regista), Fabio Mantovani (fotografo), Pierluigi Molteni (architetto), Piero Orlandi (architetto), Mario Piccinini (architetto), Francesco Satta (filmmaker) attribuisce due menzioni speciali, una a MY LITTLE DHAKA di Rossella Anitori per l’elegante risultato, per l’assenza di retorica attorno al tema immigrazione/integrazione e per la qualità visiva. Il film descrive efficacemente la voglia di integrarsi degli immigrati bengalesi nella periferia romana– a URBAN SAFARI di Sebastiano Caceffo, Lisa Eisfeldt, Alice Gagliardi, Eleni Margarita Barda, Anil Janssen per la singolarità del tema proposto, per l’originale regia, per l’ottima tecnica di ripresa. URBAN SAFARI rappresenta uno spazio pubblico, un vitale inserto naturalistico nella fitta forestazione urbana di Bruxelles, un luogo quasi teatrale, aperto alla fruizione giovanile, in grado di produrre nuove forme di cultura basate sulla convivenza fra diversi. il 1° premio del valore di 500€ offerto da Urban Center e Tper a: LONDON AFLOT di Gloria Aura Bortolini per la qualità ed efficacia della comunicazione visiva e per la capacità di fornire una riflessione critica sull’abitare contemporaneo. LONDON AFLOAT racconta gli spazi di creatività della “città galleggiante” nei canali di Londra, inquadrando un contesto metropolitano in bilico tra nomadismo e stanzialità, tra dimensione pubblica e privata, collocando l’originalità del tema al di là del pittoresco e degli stereotipi più diffusi.

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